Oggi ricorre il decimo anniversario dell'omicidio di Alessandro Giorgioni (nella foto), avvenuto il 22 luglio 2004 a Sant'Agata Feltria, in provincia di Pesaro.
Questa mattina, nella chiesa parrocchiale di Novafeltria è stata celebrata la messa in suffragio dell’Appuntato scelto Alessandro Giorgioni alla presenza della vedova Signora Simona Cola, del figlio Leonardo e dei familiari del compianto carabiniere. Alla cerimonia hanno presenziato, inoltre, il Comandante della Legione Carabinieri Emilia Romagna, Generale di Brigata Antonio Paparella, il Colonnello Luigi Grasso, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Rimini, il Capitano Umberto Geri, Comandante della Compagnia Carabinieri di Novafeltria, i militari delle Stazioni e del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia, l’Associazione Nazionale Carabinieri in congedo di Novafeltria, nonché i sindaci di Novafeltria e Sant’Agata Feltria.
La cerimonia è proseguita con la resa degli onori militari alla Medaglia d’Oro Alessandro Giorgioni, sulle note del silenzio.
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La vicenda
L'appuntato 36enne è stato ucciso a un posto di blocco a Sant' Agata Feltria, in provincia di Pesaro-Urbino, da un uomo a bordo di una moto. Il motociclista ha estratto la pistola e ha sparato due colpi verso il militare per poi fuggire. Il militare stava compiendo dei controlli, insieme ad un collega. Alle 12.30 la pattuglia ha fermato una moto enduro Yamaha, risultata poi rubata a Terni, per il controllo dei documenti, l'uomo che la guidava ha estratto una pistola e ha sparato due colpi che hanno colpito Giorgioni alla gola e al petto, che è deceduto all'istante. Il motociclista è poi riuscito a scappare sulla superstrada E45.Caccia al Lupo
(da www.carabinieri.it) Le altre tappe di questo racconto si
ambientano a Roma, sabato 24 luglio, nelle vie a ridosso della
Stazione Termini. Tre agenti della Polizia di Stato in servizio di
pattugliamento notano un passante dal fare guardingo. Decidono di
controllarlo. Appena si avvicinano, a distanza di pochi metri, i
sospetti degli agenti si connotano in pallottole che lo sconosciuto
gli rivolge contro con la propria arma, sempre la stessa. La
reazione dei tre non può essere di fuoco difensivo: c'è troppa
gente. Un'occhiata, e si convincono che chi hanno incontrato è
Liboni, l'assassino del "collega" Giorgioni. Immediate battute,
l'arrivo di rinforzi e di numerose pattuglie dell'Arma romana non
riescono a dar conto della presenza del ricercato. Liboni si è
volatilizzato tra i passeggeri della vicina metropolitana. Il Lupo
è in fuga.
Siamo ancora a Roma, a distanza di
sette giorni. Il Circo Massimo pullula di turisti. Una signora nota un
uomo che muove sullo stesso marciapiede, ma in senso inverso. Lo
spazio, breve, le consente di osservarlo, protetta com'è dagli
occhiali scuri: è Liboni, il Lupo, l'uomo più ricercato d'Italia.
I due si incrociano, lei si volta, si guarda intorno e nota una postazione della Polizia Municipale. Anche loro, gli agenti Ivan Bianco e Giorgio De Angelis, si convincono della genuinità della informazione. Tenendo a vista l'uomo, si rammentano che poco distante hanno salutato una pattuglia di Carabinieri motociclisti. Li vanno a chiamare, indicando l'individuo sospetto. Il brigadiere Angelo Bellucci e il carabiniere Alessandro Palmas decidono di controllarlo. Palmas lo segue sul retro, arma in pugno, moto marciante senza la conduzione - tanto è l'addestramento che riesce a guidare senza mani -, il collega ne costeggia il passo a distanza. Il militare che lo tallona, convintosi che chi gli sta di fronte è il latitante, lo chiama per nome: «Luciano, Luciano». Questi si volta e, senza esitazione, spara ripetuti colpi in direzione del militare. Il motociclista per non essere colpito poggia la moto a terra ricevendone precaria protezione. Non può reagire al fuoco: sulla traiettoria c'è una famiglia di cinque persone. Ancora il revolver assassino che ha colpito a Tivoli, a Sant'Agata Feltria, a Roma Termini. Non è un conflitto a fuoco, è un tiro al bersaglio di ben 5 colpi. Poi, quando Liboni si accorge che le sue munizioni sono quasi esaurite e gli rimane un solo colpo, avvinghia un'ignara cittadina francese, minacciandola di morte qualora Palmas si avvicini. Al carabiniere non rimane che fingere la resa, posando l'arma quasi in segno di rassegnata ubbidienza. I due si scambiano disperate battute: «Luciano arrenditi, non ti voglio uccidere». «Non lo farò mai, ormai sono un uomo morto». Ma Liboni si accorge che il brigadiere Bellucci al suo fianco lo tiene sotto ferma mira, che non può trasformare in legittima reazione pena porre a repentaglio la vita dell'ostaggio. È disperato: gli rimane un solo colpo ed ha due nemici. Decide di voltarsi e sparare sul brigadiere. Il sequestratore assassino scopre ora parte della spalla, Palmas ne approfitta e spara un colpo che raggiunge Liboni, provocandone la morte qualche ora dopo.
I due si incrociano, lei si volta, si guarda intorno e nota una postazione della Polizia Municipale. Anche loro, gli agenti Ivan Bianco e Giorgio De Angelis, si convincono della genuinità della informazione. Tenendo a vista l'uomo, si rammentano che poco distante hanno salutato una pattuglia di Carabinieri motociclisti. Li vanno a chiamare, indicando l'individuo sospetto. Il brigadiere Angelo Bellucci e il carabiniere Alessandro Palmas decidono di controllarlo. Palmas lo segue sul retro, arma in pugno, moto marciante senza la conduzione - tanto è l'addestramento che riesce a guidare senza mani -, il collega ne costeggia il passo a distanza. Il militare che lo tallona, convintosi che chi gli sta di fronte è il latitante, lo chiama per nome: «Luciano, Luciano». Questi si volta e, senza esitazione, spara ripetuti colpi in direzione del militare. Il motociclista per non essere colpito poggia la moto a terra ricevendone precaria protezione. Non può reagire al fuoco: sulla traiettoria c'è una famiglia di cinque persone. Ancora il revolver assassino che ha colpito a Tivoli, a Sant'Agata Feltria, a Roma Termini. Non è un conflitto a fuoco, è un tiro al bersaglio di ben 5 colpi. Poi, quando Liboni si accorge che le sue munizioni sono quasi esaurite e gli rimane un solo colpo, avvinghia un'ignara cittadina francese, minacciandola di morte qualora Palmas si avvicini. Al carabiniere non rimane che fingere la resa, posando l'arma quasi in segno di rassegnata ubbidienza. I due si scambiano disperate battute: «Luciano arrenditi, non ti voglio uccidere». «Non lo farò mai, ormai sono un uomo morto». Ma Liboni si accorge che il brigadiere Bellucci al suo fianco lo tiene sotto ferma mira, che non può trasformare in legittima reazione pena porre a repentaglio la vita dell'ostaggio. È disperato: gli rimane un solo colpo ed ha due nemici. Decide di voltarsi e sparare sul brigadiere. Il sequestratore assassino scopre ora parte della spalla, Palmas ne approfitta e spara un colpo che raggiunge Liboni, provocandone la morte qualche ora dopo.
Qui termina la triste vicenda -
quasi un incubo - di un disperato, inseguito da un destino feroce,
che ha seminato morte e sangue al solo scopo di fuggire da una
devastante solitudine e da una vita randagia.
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