ANC Segrate

Associazione Nazionale Carabinieri
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domenica 30 agosto 2015

un UOMO ucraino e 50 vili italiani

Anatoly Korol

Sabato 29 agosto 2015 a Castello di Cisterna (NA) 

Si può diventare eroi per caso e morirci, come Anatolij, presi da un irrefrenabile sentimento di giustizia. E si può essere, in attimi che valgono un'esistenza e restano scolpiti nella carne viva della propria anima, dei VILI per calcolo timoroso che ti frena ogni slancio, smorza ogni impeto coraggioso.
A 29 anni e quell'esperienza, Lino Sgueglia lo ha capito assai bene. Ci ripensa e non ci dorme la notte, da quel sabato maledetto. Gli risuona, in un'ossessione condita da continui rimorsi, il pianto della piccola figlia di Anatolij. Della bambina che il padre aveva lasciato, per affrontare i due rapinatori entrati nel supermercato mentre lui e la figlia ne stavano ormai uscendo.
Lino è il direttore dei supermercati "Piccolo" da quattro anni. Lino vive ad Acerra, ma sabato era lì dentro, nel punto vendita di Castel di Cisterna quando sono arrivati gli assassini. Ha negli occhi i fotogrammi di quei secondi. Gli fanno male.  (...)
 

Un ucraino da dieci anni in Italia, pronto a reagire ad una rapina violenta. Le decine di persone che erano all'interno del supermercato, invece, sono rimaste impassibili.
Il video registrato racconta che Anatolij per due volte si era trovato sul punto di avere la meglio, sarebbe bastato l'aiuto di qualcuno in quegli attimi per fermare i due rapinatori. Nessuno si è invece mosso in suo soccorso e questo brucia ancora nel ricordo di Lino Sgueglia. Sì, perché neanche lui è riuscito a vincere la paura.


Ora racconta: "sì, ho chiesto aiuto a più persone che erano tra i clienti. La cosa che più mi fa star male è che l'intenzione di intervenire l'avevo, ma nessuno mi ha seguito. Nessuno ha accolto il mio invito". Una delle addette al box informazioni, Teresa, ricorda come il direttore abbia tentato di convincere altri ad intervenire con lui. Ma tutto è durato poco, frazioni di secondi per una vita spezzata invano. (...)

La paura che taglia le gambe, il non intervento figlio di un terrore che non fa respirare. Lino non si nasconde, ammette: "dirlo dopo che si doveva fare qualcosa è facile per tutti. Forse avrei potuto fare l'eroe anche io in quel momento, ma ora ci sarebbe un altro orfano. Mio figlio. A lui ho pensato".
Ai suoi figli, in quel momento, non ha pensato invece Anatolij. Ma forse ha avuto meno tempo per riflettere, per non lasciarsi travolgere da quell'impeto che non è riuscito a dominare. Contro di lui, i due assassini sono stati spietati. Lino Sgueglia racconta le successioni di una rapina-omicidio. Ricorda quelle due figure completamente coperte, con i guanti alle mani per non lasciare tracce. Ricorda la loro intimazione: "questa è una rapina!". Spiega che non gli è sembrato avessero un accento particolare e neanche qualche segno che potesse aiutare a distinguerli. Insomma, se non ci fossero i fotogrammi delle telecamere, dalle sole testimonianze sarebbe assai difficile qualsiasi identikit degli assassini, nonostante vi fossero nel supermercato oltre cinquanta persone.

C'era coda alle casse, per l'ora di punta. E questo il direttore Sgueglia lo ricorda bene. È sempre così di sabato sera. Racconta: "Quando sono entrati, è stato il caos. La gente scappava in fondo al supermercato lontano delle casse. Si nascondeva dietro gli scaffali, o nei pressi della macelleria". Insomma, ognuno ha pensato a mettersi in salvo.
Sgueglia era a un metro da dove è stato ucciso Anatolij. Ricorda: "veniva a fare la spesa tutti i giorni, era una persona educatissima. Salutava, ti stringeva la mano. Mentre usciva con le buste della spesa nel carrello dove era seduta la figlia, ha incrociato i rapinatori sulla porta".
Anatolij non ci ha pensato su due volte, ha lasciato la figlia e il carrello gettandosi sul rapinatore con la pistola, afferrandogli il polso. I due sono finiti a terra, il rapinatore ha cominciato a picchiare, infierendo con una penna. Scene di crudeltà estrema, scene di morte fissate dalle immagini registrate nei video di sicurezza. Lino Sgueglia non è riuscito a rivedere quei fotogrammi fino in fondo: troppo dolore, troppa violenza, troppo male.
È stata quella penna a risultare fatale. Quella punta conficcata in parti vitali a causare la morte per dissanguamento. Le due ferite da colpi di pistola non sarebbero da sole riuscite a provocare la morte dell'operaio ucraino. E questo rende ancora più assurde le fasi di quell'omicidio: una penna è risultata più pericolosa di una pistola. Una penna che poteva essere fermata. Gli ultimi attimi di Anatolij in vita, gli ultimi istanti condensati in un ricordo disperato.
Tanto sangue fuoriusciva dal collo, dal punto in cui la penna era stata conficcata con violenza. Poi il nulla, la vita dell'operaio ucraino che se ne andava. Gli sguardi di commiserazione dei tanti testimoni immobili. La tragedia si era consumata, lasciando strascichi di rimorsi e terrore tra chi vi aveva assistito. E il pianto di quella bambina rimasta orfana a 17 mesi. Un pianto che accompagnerà per sempre gli incubi notturni di Lino Sgueglia.
 

     Gigi Di Fiore

articolo completo su: il Mattino di Napoli
 



 
Intanto proseguono le indagini dei carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna, per individuare gli assassini: i militari li stanno cercando, incessantemente e stanno concentrando le ricerche soprattutto nelle periferie della piccola cittadina dell'hinterland partenopeo. I due assassini sembra avessero evidenziato un accento locale. Il generale del comando provinciale di Napoli, Antonio de Vita, ha raggiunto il colonnello del gruppo di Castello di Cisterna, Luca Corbellotti, per fare il punto della situazione.

 
Carabinieri in azione pur fuori servizio
 

Epilogo di venerdì 4 settembre

È stato Gianluca Ianuale, 20 anni, ad uccidere, sabato scorso, Anatoliy Korol, il 38enne ucraino che cercava di sventare una rapina nel supermercato di Castello di Cisterna.
A entrare nel supermercato armato di pistola era stato il fratellastro Marco di Lorenzo, 32 anni, il quale è stato disarmato dal muratore eroe. A quel punto il fratellastro (esile ventenne), dopo avere cercato di liberare Di Lorenzo, colpendo il muratore con dei pugni e ferendolo con una penna, ha impugnato la pistola ed ha fatto fuoco. Entrambi sono figli di un boss locale della camorra, da lungo tempo in carcere. 

Alla prima riunione in caserma per organizzare le indagini sull'omicidio di Anatoliy Korol, un investigatore dei carabinieri rifletté sulla dinamica della tragedia: Anatoliy aveva bloccato il rapinatore armato, lo aveva sopraffatto quando il complice, anziché scappare tornò indietro, si impossessò della pistola e gli sparò. "Solo un fratello fa una cosa del genere", disse l' investigatore. E aveva ragione. I carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna, guidati dal maggiore Michele D' Agosto, hanno puntato su di loro sin dalle prime ore delle indagini. Visti nelle immagini registrate dalle telecamere del supermercato, quei due apparivano troppo coperti: non solo i caschi integrali, ma anche maniche lunghe e perfino guanti di lattice. E i testimoni riferivano che sotto i caschi avevano come delle maschere.


Questo significava che era gente del posto, conosciuta e quindi obbligata a un travisamento totale. La Cisternina è un quartiere dove di delinquenti ce ne sono molti, ma gli unici ad essere spariti dalla circolazione dopo la morte di Korol erano Ianuale e Di Lorenzo. Troppo sospetto. Il resto lo hanno fatto le intercettazioni, l' analisi dei loro profili Facebook (alcune foto postate si sono rivelate utili nel raffronto con gli indumenti indossati dai rapinatori) e il pedinamento dei parenti.

Il comandante provinciale dei carabinieri Antonio de Vita, nel confermare l’avvenuto fermo dei due giovani, ha parlato di "lavoro corale".


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 Un altro immigrato eroe:
albanese sventa rapina e disarma bandito

Non solo Anatolji Korol. Un altro immigrato eroe ha sventato una rapina. Si tratta di un giovane albanese irregolare, Roland Muca, 32 anni. Il 7 marzo scorso ha impedito che una rapina fosse messa a segno in un supermercato di Villa Briano, in provincia di Caserta. Nelle immagini riprese dal sistema di video sorveglianza del supermercato, si vede il giovane, con una felpa rossa addosso, entrare in azione non appena si accorge dell'arrivo dei banditi. Roland si avventa sul rapinatore armato di fucile a canne mozze, dando il via a una colluttazione al termine della quale riesce a disarmare il rapinatore che poi si dà alla fuga. Il fucile è stato recuperato dai militari dell'arma.

I carabinieri di Casal di Principe - che oggi hanno arrestato cinque persone ritenute responsabili di quel tentativo di rapina e di altre sei messe a segno nel Casertano - hanno chiesto all'autorità giudiziaria che al giovane albanese venga concesso un permesso di soggiorno straordinario per motivi di giustizia. 

 

 Bergoglio: vanno fermati, anche per il loro bene

 

giovedì 27 agosto 2015

ancora un cambio al vertice

col. Biagio Storniolo
Cambiamento anche al vertice del Reparto Operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Milano. Settimana prossima il colonello Biagio Storniolo lascierà l'incarico per diventare Comandante Provinciale dei Carabinieri di Bergamo. In precedenza era stato comandante provinciale a Reggio Calabria.Lo ricordiamo durante il resoconto dei risultati dell'anno 2014, quando ha sottolineato con orgoglio che "dei 27 omicidi avvenuti in provincia di Milano, i 20 casi indagati dai Carabinieri sono stati tutti risolti".

Al suo posto arriverà da Roma il ten. col. Antonio Montanaro, proveniente dall'ufficio Criminalità Organizzata del comando generale dell'Arma.

venerdì 14 agosto 2015

la strage di Nassirya



Il mattino del 12 novembre 2003, in Iraq, nella città di Nassirya controllata dalle truppe italiane, un camion cisterna sfonda la sbarra di ingresso del cortile, esplode e distrugge Base Maestrale dei Carabinieri. L'esplosione è talmente forte che Base Libeccio, a 400 metri, viene gravemente danneggiata.
Muoiono 28 persone, delle quali 19 italiani, 12 carabinieri, 5 militari dell'Esercito e due civili.


Secondo il nostro amico appuntato G.M., che per diversi anni ha poi prestato servizio a Segrate, presente a Nassirya e scampato per poco alla strage, "il colonello Georg Di Pauli si adoperava con energia per migliorare la sicurezza delle basi, ma non disponeva di fondi e doveva quindi arrangiarsi con il materiale disponibile."

col. Di Pauli

oltre al dolore, rimangono alcune perplessità

La procura militare di Roma nel 2007 chiese il rinvio a giudizio per due generali dell’esercito – Bruno Stano e Vincenzo Lops – e per il colonnello dei Carabinieri Georg Di Pauli, già veterano delle missioni in Libano e in Kossovo.
Dopo lungo iter giudiziario furono assolti tutti con formula piena. Stranamente la procura militare di Roma escluse dall’inchiesta i due generali che firmarono l’ordine di operazione: Rolando Mosca Moschini, capo di stato maggiore della difesa; Filiberto Cecchi, comandante operativo di vertice.

La procura militare sostenne che i tre comandanti operanti a Nassirya ricevettero un credibile preavviso dell’attentato dal SISMI, all'epoca diretto dal generale Niccolò Pollari. Tale circostanza rimase indimostrata. Pollari non fu mai interrogato. 

Un'altra perplessità riguarda gli armamenti: solo un razzo controcarro avrebbe arrestato la cisterna con 4 tonnellate di esplosivo prima che arrivasse troppo vicino a Base Maestrale. I carabinieri a Nassirya  non avevano razzi controcarro ma solo armi leggere, ovviamente inadatte. (Non dimentichiamo che la tipologia delle armi a utilizzate a Nassirya era stabilita nell’ordine di operazioni, scritto a Roma da Mosca Moschini e da Cecchi, non dai comandanti operativi agenti sul terreno).  Armi più pesanti arriveranno solo nel luglio del 2004. Come in tante altre dolorose occasioni, il valore degli uomini viene annullato dalla mancanza di armamento adeguato.


Una terza perplessità riguarda la superficialità delle indagini e delle perizie. La procura militare non dispose alcuna perizia scientifica sull’evento centrale: l’esplosione. Questo mistero rimane tutt'oggi inspiegato.
La procura militare congetturò 400 chili di esplosivo per l’esplosione. Ambedue le inchieste, una affidata a un generale dell'Esercito, l'altra a uno dei Carabinieri, stabilirono che la quantità di esplosivo era di circa  400 chili di tritolo.
Le due basi distavano 400 metri e qualunque militare può comprendere che 4 quintali di tritolo non possono causare distruzioni su un’area così vasta ma i due generali di corpo d’Armata non se ne resero conto ...
Due anni dopo l’inizio dei processi e dopo ben quattro anni dall'attentato,
il prof. Adolfo Bacci e l’ammiraglio Roberto Vassale, due periti di lunga esperienza ingaggiati dalle difese degli imputati, affermarono che a Nassirya esplosero 4 tonnellate di tritolo e non 4 quintali.

Infine:  se la missione era solo "umanitaria", come hanno sempre assicurarato i due ministri degli Esteri di quegli anni, era accettabile che i Carabinieri si schierassero nel centro di Nassirya, senza protezioni adeguate. I racconti di nostri amici Carabinieri che hanno partecipato a quella missione, tuttavia, dipingono ben altro scenario ...



I 12 carabinieri deceduti: lgt. Enzo Fregosi; mar.s.ups Giovanni Cavallaro; mar.s.ups Alfonso Trincone; mar.s.ups Filippo Merlino; mar. capo Alfio Ragazzi; mar. capo Massimiliano Bruno; mar. ord. Daniele Ghione; vice brig. Giuseppe Coletta; vice brig. Ivan Ghitti; app. Domenico Intravaia; car.sc. Horacio Majorana e car.sc. Andrea Filippa.