maresciallo Sebastiano d'Immé |
Il militare, appena 31enne e sposato da soli 8 mesi, morì il giorno dopo all'ospedale di Varese.
La latitanza degli assassini durò appena 48 giorni. Il 23 agosto, nei giardinetti di largo Rio De Janeiro, a Milano, Luigi Bellitto e Rocco Agostino furono intercettati da una pattuglia dei carabinieri. Nella sparatoria che ne seguì, Bellitto fu centrato da una pallottola, che gli trapassò fegato e pancreas: morì poche ore dopo al Fatebenefratelli. Colpito da sette proiettili, al braccio e alle gambe, il complice fu immobilizzato e arrestato.
La vedova, di soli 27 anni, lo ricorda così: "Era molto rispettoso e altruista. Piuttosto che offendere una persona, preferiva stare male lui. Era un uomo umile, e non lo dico solo perché non c’è più. Io lo ricordo così e me lo hanno confermato tanti che l’avevano conosciuto bene. Io pensavo che avesse la divisa cucita addosso. Più di una volta ho provato a dirgli di cambiare lavoro, ma non ho mai ottenuto niente. Lui non ha mai cambiato. Ecco, io non dirò mai a nessuno di cambiare la decisione che ha preso, la scelta che ha fatto, il lavoro nel quale si è impegnato. Perché, è vero, mio marito è morto, ma nel modo migliore in cui lui poteva morire. Erano la sua strada, la sua vocazione, e anche se l’hanno portato alla morte, lui sarebbe stato orgoglioso di finire così. Poteva morire in qualunque altro modo. È accaduto mentre faceva ciò in cui credeva".
La motivazione per la medaglia d'oro al valor militare:
"Addetto a nucleo operativo di Comando Provinciale, nel corso di predisposto servizio antirapina svolto unitamente a parigrado, intercettava due pericolosi pregiudicati a bordo di un'autovettura di provenienza furtiva. Percependo che gli stessi, avvedutisi di essere stati individuati, potessero sottrarsi al successivo controllo già predisposto con il concorso di personale di rinforzo, non esitava ad affrontare i malviventi, venendo però fatto segno a violenta azione di fuoco. Benché colpito in più parti del corpo, con eccezionale coraggio e non comune determinazione, replicava con l'arma in dotazione finché si accasciava esanime al suolo. Fulgido esempio di elette virtù militari e di altissimo senso del dovere, spinto fino all'estremo sacrificio."
La città di Gela ha sostenuto la pubblicazione del libro “Nome in codice, Ombra” dedicato alla memoria di Sebastiano D’Immè, maresciallo dei carabinieri originario di quella città. Autori del libro, il giornalista Mirco Maggi, iscritto all'Associazione Nazionale dei Carabinieri, e il capitano dei carabinieri Cataldo Pantaleo, collega di “Ombra” ovvero il maresciallo Sebastiano D’Immè. Il libro contiene il romanzo "Nome in codice, Ombra" ispirato al sottufficiale gelese e il compendio della ricostruzione de "La vera storia del Maresciallo D'Immè". L'opera è corredata da una vasta ed esaustiva documentazione fotografica, da toccanti testimonianze e da numerosi documenti processuali inediti, perizie balistiche, intercettazioni ambientali, fotografie e testimonianze concessi in esclusiva agli autori che hanno lavorato più di due anni per ricostruire la vita di D’Immè.
Tra la ricostruzione della vicenda e delle fasi che portarono a quel triste epilogo e il ricordo di quanti conobbero il giovane sottufficiale, il libro traccia nitidamente la figura del carabiniere e dell’uomo. Parte del ricavato del libro sarà devoluto all'O.n.a.o.m.a.c. (ente assistenziale per i figli dei Carabinieri caduti in servizio).