ANC Segrate

Associazione Nazionale Carabinieri
sezione di Segrate (MI)
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giovedì 24 luglio 2014

coraggioso e tenace

car. Vincenzo Caruso
A Segrate presta validamente servizio un giovane carabiniere originario della Sicilia sud-orientale.
In suo onore vogliamo ricordare la figura del suo compaesano Vincenzo Caruso, medaglia d'oro al valor militare.

Nel pomeriggio del 1º aprile 1977 si trovava in servizio di perlustrazione con altri due colleghi nelle campagne di Taurianova (RC). I militari notarono un casolare isolato con auto parcheggiate davanti e decisero di entrarvi.
Mentre l'appuntato Stefano Condello si avvicinava, dalla cascina partirono diversi colpi d'arma da fuoco, che diedero il via ad uno scontro armato in cui perse la vita il carabiniere Caruso, oltre all'appuntato e a due 'ndranghetisti, Rocco e Vincenzo Avignone della 'ndrina Avignone di Taurianova.

Le successive indagini accertarono che nella cascina si stava svolgendo una riunione mafiosa per discutere di traffici illeciti e della spartizione di appalti pubblici. Lo sviluppo investigativo condotto dai Carabinieri portò ad individuare 9 degli 11 partecipanti alla riunione (si sospetta che i due scampati alle indagini fossero noti esponenti della politica) e a varie condanne comminate al termine del processo in corte d'assise a Palmi, il 21 luglio 1981, per oltre 200 anni di carcere totali.



In occasione del funerale solenne, l'allora comandande generale dell'Arma Enrico Mino ha dichiarato: "questi due Carabinieri non sono morti invano".
Dopo quella sparatoria, infatti, la lotta alla 'Ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria ha visto una svolta decisiva che ha portato alla scoperta di importante ramificazioni, fino al potere politico di Roma, al Nord Italia, alle Americhe e perfino all'Australia.


Motivazione della medaglia d'oro:
"Componente dell'equipaggio di autoradio, lasciato di vigilanza all'esterno di casolare isolato nel quale si era introdotto per controllo un graduato capo servizio, interveniva subito per dare man forte al superiore, fatto segno a numerosi colpi di arma da fuoco da parte di pregiudicati, ingaggiando con essi, con coraggio e consapevole ardimento, un cruento scontro a fuoco. Benché gravemente ferito, persisteva nell'azione uccidendo due malfattori fino a quando, privo di forze, si accasciava, stremato, al suolo, dove veniva barbaramente finito."


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altri eroi ricordati dalla ANC della Sicilia






martedì 22 luglio 2014

Alessandro e il Lupo


Oggi ricorre il decimo anniversario dell'omicidio di Alessandro Giorgioni (nella foto), avvenuto il 22 luglio 2004 a Sant'Agata Feltria, in provincia di Pesaro.

Questa mattina, nella chiesa parrocchiale di Novafeltria è stata celebrata la messa in suffragio dell’Appuntato scelto Alessandro Giorgioni alla presenza della vedova Signora Simona Cola, del figlio Leonardo e dei familiari del compianto carabiniere. Alla cerimonia hanno presenziato, inoltre, il Comandante della Legione Carabinieri Emilia Romagna, Generale di Brigata Antonio Paparella, il Colonnello Luigi Grasso, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Rimini, il Capitano Umberto Geri, Comandante della Compagnia Carabinieri di Novafeltria, i militari delle Stazioni e del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia, l’Associazione Nazionale Carabinieri in congedo di Novafeltria, nonché i sindaci di Novafeltria e Sant’Agata Feltria.
La cerimonia è proseguita con la resa degli onori militari alla Medaglia d’Oro Alessandro Giorgioni, sulle note del silenzio. 


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La vicenda

L'appuntato 36enne è stato ucciso a un posto di blocco a Sant' Agata Feltria, in provincia di Pesaro-Urbino, da un uomo a bordo di una moto. Il motociclista ha estratto la pistola e ha sparato due colpi verso il militare per poi fuggire. Il militare stava compiendo dei controlli, insieme ad un collega. Alle 12.30 la pattuglia ha fermato una moto enduro Yamaha, risultata poi rubata a Terni, per il controllo dei documenti, l'uomo che la guidava ha estratto una pistola e ha sparato due colpi che hanno colpito Giorgioni alla gola e al petto, che è deceduto all'istante. Il motociclista è poi riuscito a scappare sulla superstrada E45.

Caccia al Lupo

(da www.carabinieri.it)  Le altre tappe di questo racconto si ambientano a Roma, sabato 24 luglio, nelle vie a ridosso della Stazione Termini. Tre agenti della Polizia di Stato in servizio di pattugliamento notano un passante dal fare guardingo. Decidono di controllarlo. Appena si avvicinano, a distanza di pochi metri, i sospetti degli agenti si connotano in pallottole che lo sconosciuto gli rivolge contro con la propria arma, sempre la stessa. La reazione dei tre non può essere di fuoco difensivo: c'è troppa gente. Un'occhiata, e si convincono che chi hanno incontrato è Liboni, l'assassino del "collega" Giorgioni. Immediate battute, l'arrivo di rinforzi e di numerose pattuglie dell'Arma romana non riescono a dar conto della presenza del ricercato. Liboni si è volatilizzato tra i passeggeri della vicina metropolitana. Il Lupo è in fuga.
Siamo ancora a Roma, a distanza di sette giorni. Il Circo Massimo pullula di turisti. Una signora nota un uomo che muove sullo stesso marciapiede, ma in senso inverso. Lo spazio, breve, le consente di osservarlo, protetta com'è dagli occhiali scuri: è Liboni, il Lupo, l'uomo più ricercato d'Italia



I due si incrociano, lei si volta, si guarda intorno e nota una postazione della Polizia Municipale. Anche loro, gli agenti Ivan Bianco e Giorgio De Angelis, si convincono della genuinità della informazione. Tenendo a vista l'uomo, si rammentano che poco distante hanno salutato una pattuglia di Carabinieri motociclisti. Li vanno a chiamare, indicando l'individuo sospetto. Il brigadiere Angelo Bellucci e il carabiniere Alessandro Palmas decidono di controllarlo. Palmas lo segue sul retro, arma in pugno, moto marciante senza la conduzione - tanto è l'addestramento che riesce a guidare senza mani -, il collega ne costeggia il passo a distanza. Il militare che lo tallona, convintosi che chi gli sta di fronte è il latitante, lo chiama per nome: «Luciano, Luciano». Questi si volta e, senza esitazione, spara ripetuti colpi in direzione del militare. Il motociclista per non essere colpito poggia la moto a terra ricevendone precaria protezione. Non può reagire al fuoco: sulla traiettoria c'è una famiglia di cinque persone. Ancora il revolver assassino che ha colpito a Tivoli, a Sant'Agata Feltria, a Roma Termini. Non è un conflitto a fuoco, è un tiro al bersaglio di ben 5 colpi. Poi, quando Liboni si accorge che le sue munizioni sono quasi esaurite e gli rimane un solo colpo, avvinghia un'ignara cittadina francese, minacciandola di morte qualora Palmas si avvicini. Al carabiniere non rimane che fingere la resa, posando l'arma quasi in segno di rassegnata ubbidienza. I due si scambiano disperate battute: «Luciano arrenditi, non ti voglio uccidere». «Non lo farò mai, ormai sono un uomo morto». Ma Liboni si accorge che il brigadiere Bellucci al suo fianco lo tiene sotto ferma mira, che non può trasformare in legittima reazione pena porre a repentaglio la vita dell'ostaggio. È disperato: gli rimane un solo colpo ed ha due nemici. Decide di voltarsi e sparare sul brigadiere. Il sequestratore assassino scopre ora parte della spalla, Palmas ne approfitta e spara un colpo che raggiunge Liboni, provocandone la morte qualche ora dopo.
Qui termina la triste vicenda - quasi un incubo - di un disperato, inseguito da un destino feroce, che ha seminato morte e sangue al solo scopo di fuggire da una devastante solitudine e da una vita randagia.

venerdì 18 luglio 2014

l'origine del nome



Le “Regie Patenti” che istituirono il corpo dei Carabinieri Reali portano la data del 13 luglio 1814.
I Reali Carabinieri diventarono poi “Arma” nel 1861.

Come scriveva nel 1953 il generale Edoardo Scala:  “le ragioni per cui nel Piemonte i gendarmi vennero chiamati Carabinieri furono molte: Vittorio Emanuele I di Savoia volle che i componenti del nuovo Corpo assumessero il nome di “Carabinieri” sia perché, trattandosi di un corpo speciale che doveva operare anche in guerra, il Sovrano volle amarlo di carabina, come di carabina erano armati i reparti scelti degli eserciti del tempo, sia perché in Piemonte e negli altri Stati italiani, Carabiniere era sinonimo di soldato particolarmente fedele.
I Carabinieri furono chiamati reali per distinguerli dai Carabinieri ordinari dell’esercito. L’esempio del Piemonte fu ben presto seguito anche da altri Principi italiani e i Gendarmi venenro chiamati Carabinieri anche nello Stato pontificio, nel Granducato di Toscana e nel Ducato di Lucca. Nel Regno delle Due Sicilie vennero chiamati invece Fucilieri.”




allievi con carabina Beretta AR 70/90


il nostro vice presid. con Beretta BM 59

la replica della carabina mod. 1814

L'azienda di Davide Pedersoli ha realizzato una replica fedele della storica "carabina modello 1814"
 

sabato 12 luglio 2014

parroco, sindaco e maresciallo

mar. ord. Andrea Marino

2 luglio 2014, Oppido Mamertina, provincia di Reggio Calabria, 5356 abitanti, 4 frazioni, 18 fra cappelle e santuari, 4 cosche di ‘ndrangheta.
Durante la processione il parroco di Tresilico, don Benedetto Rustico (un prete che è cugino dei Rustico, i Rustico che sono gli alleati storici dei Mazzagatti in una faida infinita che ha terrorizzato questo paese) ha guardato immobile la staua di Maria Vergine delle Grazie che si piegava leggermente verso il balcone di quel palazzo di tre piani dove risiede Don Peppe Mazzagatti, boss di Oppido, condannato all’ergastolo per omicidio e agli arresti domiciliari per motivi di salute.

Un secondo dopo il maresciallo dei carabinieri Andrea Marino ha richiamato i suoi due brigadieri lasciando il corteo per avviare subito le indagini.

Il sindaco Domenico Giannetta ha visto andare i carabinieri, ma lui è rimasto, alle sue spalle gli assessori e il comandante dei vigili.




"Il maresciallo dei Carabinieri di Oppido Mamertina, Andrea Marino, si è scostato rispetto alla processione per compiere gli atti di polizia giudiziaria, ovvero per poter con una telecamera il gesto dell’inchino davanti all’abitazione del boss, e procedere all’identificazione sia dei portatori della statua sia di chi ha dato l’ordine di compiere questo gesto", ha riferito il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, il colonnello Lorenzo Falferi.

Grazie al filmato del maresciallo Marino sono state identificate le 25 persone che trasportavano la statua della Madonna che avrebbe compiuto l'inchino al boss a Oppido Mamertina. 

Scrive il maresciallo su Facebook: “La 'ndrangheta, che a Oppido esiste, è una forma odiosa di sopraffazione fra esseri umani, è basata su regole poco democratiche, uccide ed è venditrice di morte; Oppido e gli oppidesi hanno vissuto passivamente ed ammutoliti cruente faide di cui oggi ancora in tanti portano addosso i segni.  Il piagnisteo non giova a nulla, al pari del nascondimento. Servono azioni concrete”.


Questa è l’essenza dell’essere carabiniere: la giustizia prima di tutto e l’onestà intellettuale come obbligo morale e civile.

Un ringraziamento al maresciallo Andrea Marino e ai suoi carabinieri che con un semplice gesto hanno dato onore all’Arma e un grande esempio a tutti.


domenica 6 luglio 2014

un uomo giusto

il s.ten. Marco Pittoni, m.o.

Il sottotenente Marco Pittoni era nato a Sondrio il 30 settembre del 1975. Vissuto in Sardegna a Giba, paese del Sulcis, si era arruolato nei Carabinieri nel 1997.
Quale Maresciallo fu destinato in Piemonte come istruttore alla scuola allievi di Fossano.
Fu poi impiegato per due anni alla Stazione Carabinieri di Lesa, in provincia di Novara e tre anni al Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Bitti, in provincia di Nuoro. Frequentò, poi, il corso ruolo speciale della Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, al termine del quale fu nominato sottotenente.

Dal 10 settembre dello 2007 aveva assunto il Comando della Tenenza Carabinieri di Pagani, in provincia di Salerno.

Nonostante i pochi mesi trascorsi nell’agro, Pittoni si era già fatto notare per la passione e la determinazione con la quale agiva quotidianamente. All’atto del suo insediamento aveva ribadito la speranza di ricevere la collaborazione dei cittadini, affinchè dessero una mano ai Carabinieri nella risoluzione dei tanti mali che attanagliavano questo territorio. Molto riservato, era uno che amava agire piuttosto che parlare, ma l’animo generoso e la caparbietà che metteva nel suo lavoro lo avevano fatto presto diventare un punto di riferimento per i paganesi che in lui nutrivano forti speranze.


La rapina del 6/6/2008

Il militare è stato colpito alla gola da un proiettile esploso dall’arma di uno dei tre rapinatori che a volto coperto avevano fatto irruzione nell’ufficio postale di Pagani alle 10 di mattina del 6 giugno 2008. Portato d’urgenza all’ospedale di Nocera inferiore, Marco Pittoni è morto durante un delicato intervento chirurgico. All’arrivo dei rapinatori, Pittoni era in servizio con un collega, entrambi in borghese, e stava parlando con il direttore dell'ufficio proprio per concordare un piano anti-rapina. Due banditi si sono diretti alle casse minacciando i dipendenti delle poste, mentre il terzo componente è rimasto fuori all’interno dell’auto, pronta per la fuga. A quell’ora, l’ufficio postale era gremito e per questo motivo il carabiniere non ha estratto la pistola d’ordinanza. E’ riuscito a sventare il colpo intimando l’alt, ma per facilitare la fuga uno dei rapinatori ha sparato due proiettili, uno dei quali lo ha centrato alla gola.
"Il sottotenente ha intimato di abbassare le armi ma non ha estratto la sua pistola di ordinanza perché avrebbe messo in pericolo l'incolumità dei presenti", ha raccontato il generale Francesco Mottola, comandante della regione carabinieri Campania, lasciando intendere che Pittone avrebbe potuto rispondere al fuoco.






Il 14 maggio 2009 gli fu conferita postuma la Medaglia d'oro al valor militare:

"Con ferma determinazione, esemplare iniziativa e insigne coraggio, presente in abiti civili per indagini di polizia giudiziaria all'interno di un ufficio postale, non esitava ad affrontare due malviventi sorpresi in flagrante rapina e, senza fare uso dell'arma in dotazione per non compromettere l'incolumità delle numerose persone presenti, riusciva a immobilizzare uno di loro. Aggredito proditoriamente alle spalle da altro rapinatore, ingaggiava una violenta colluttazione, nel corso della quale veniva attinto da un colpo d'arma da fuoco. Benché gravemente ferito tentava di porsi all'inseguimento dei malfattori in fuga prima di accasciarsi esanime al suolo. Fulgido esempio di elette virtù militari e altissimo senso del dovere, spinti fino all'estremo sacrificio."

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NOCERA INFERIORE, 2 dicembre 2009.  Il pubblico ministero aveva chiesto tre ergastoli, la sentenza è stata meno pesante: trent´anni a Fabio Prete e Giovanni Fontana, 20 anni a Gennaro Carotenuto, che si aggiungono ai 17 anni inflitti a Carmine Maresca, giudicato con rito abbreviato.
E´ il verdetto di primo grado per l´omicidio del sottotenente dei carabinieri, Marco Pittoni, ucciso durante un tentativo di rapina nell´ufficio postale di Pagani (Salerno).