il presunto assasino di Yara |
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Purtroppo il DNA è uno strumento eccezionale di indagine, ma soggetto anch’esso ad errori i quali possono essere evitati (salvo un margine statisticamente inevitabile del 1-2%) solo se si seguono metodiche con regole ferree, a partire dal primo istante delle indagini; se gli investigatori scientifici arrivano dopo altri, si è già creato un inquinamento della scena del crimine, spesso non più controllabile.
È appena il caso di ricordare, a questo proposito, il caso di Cogne in cui si sono susseguiti oltre venti sopralluoghi nella casa del delitto e dopo che per la casa si erano aggirati branchi di persone; meno male che in quel caso la prova del DNA non serviva.
La situazione è la stessa che in passato si è verificata per le impronte digitali e per i residui di sparo. Gli inconsulti e ascientifici entusiasmi iniziali hanno dovuto calar le ali di fronte alla constatazione che permaneva un margine di errore fonte di innumerevoli errori giuridiziari. (...)
Viene da rabbrividire quando si vede un filmato (come è accaduto per il processo di Perugia), prodotto a dimostrazione delle cautele usate, in cui i poliziotti raccolgono un reperto decisivo con i guanti! I guanti, dopo due secondi che si usano per ricercare qualche cosa sono già inquinati, e un reperto importante NON va toccato con i guanti, ma va raccolto con una pinzetta da usare una sola volta.
Il problema dell’inquinamento da DNA non è ancora stato risolto e quindi la cauteala non sarà mai troppa.
Voi pensate che in genere le indagini vengano svolte con questa capacità e accuratezza, come richiesto dalle corti degli Stati Uniti? Che gli operanti siano in grado di provare tutto ciò che davvero hanno fatto? Io personalmente, e per la mia esperienza di 25 anni di giudice istruttore, ho i miei fondati dubbi!
Edoardo Mori
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